la realtà raccontata dalla serie Netflix Adolescence
Ho seguito con molta attenzione la serie Netflix “Adolescence” e penso che rappresenti in modo autentico e doloroso la crescente necessità di supporto psicologico tra i più giovani.
Nel mio lavoro quotidiano di psicologa e psicoterapeuta a Roma mi trovo spesso a incontrare adolescenti e giovani adulti che attraversano momenti complessi, segnati da un senso di solitudine, isolamento emotivo e disagio psicologico. Ho riconosciuto alcuni dei temi proposti dalla serie come il desiderio di trovare un proprio posto nel mondo, la fatica di sentirsi compresi all’interno della famiglia, l’eccesso di aspettative che gravano sulle spalle dei ragazzi e il timore di rimanere esclusi in una società in cui prevalgono competizione e rapidissimi cambiamenti.
Il mio obiettivo, in questo articolo, è illustrare alcuni aspetti che più spesso emergono in terapia, nella speranza che questi contenuti possano rassicurare e dare indicazioni pratiche a chi cerca risposte su questioni importanti quali l’ansia negli adolescenti, la dipendenza digitale, i disturbi alimentari, i segnali d’allarme da non trascurare e, infine, il ruolo fondamentale dei genitori per sostenere i figli in un momento così delicato.
Lavoro in zona Tiburtina e Pigneto e ricevo molti giovani che manifestano sintomi di disagio analoghi a quelli raccontati in “Adolescence”; credo che aprire un dialogo su questi temi possa essere la chiave per normalizzare l’idea di chiedere aiuto.
La crescente ansia che colpisce gli adolescenti
Inizio spesso le mie sedute con giovani che presentano un quadro d’ansia generalizzata o specifica, magari legata alla scuola, all’inserimento sociale o alla gestione della propria identità.
Li ascolto parlare di una pressione che vivono soprattutto a causa di standard molto alti e di un confronto costante con gli altri, reso ancora più stressante dall’utilizzo pervasivo dei social media.
L’accettazione nel gruppo dei pari e la popolarità sono due aspetti molto importanti per gli adolescenti. La timidezza porta ad un senso di inadeguatezza nel gruppo, all’incapacità di entrare in relazione facilmente con ragazzi della stessa età dello stesso genere o del genere opposto.
Perché gli adolescenti hanno ansia?
Spesso cerco di rispondere a questa domanda con i miei pazienti, sia adolescenti sia genitori che faticano a comprendere le ragioni profonde di un disagio così forte.
Uno dei motivi principali è la fase di passaggio e trasformazione che caratterizza l’adolescenza: il corpo e la mente cambiano, i rapporti familiari e sociali mutano, e si inizia a intravedere il mondo adulto ma senza la sicurezza di possedere ancora gli strumenti per farvi fronte.
Alcuni adolescenti sviluppano ansia perché attraversano sfide scolastiche impegnative, temono il giudizio dei pari o si confrontano con la necessità di prendere decisioni su quale percorso di studi o di vita intraprendere. Altri, soprattutto in città grandi come Roma, avvertono un senso di spaesamento di fronte a una realtà che sembra enorme e talvolta alienante.
La comparsa di stati ansiosi è spesso legata anche a dinamiche relazionali interne alla famiglia, come l’assenza di figure di riferimento emotivo o la presenza di conflitti genitoriali troppo accentuati. Mi preme sottolineare che la natura dell’ansia negli adolescenti non è mai monodimensionale: entrano in gioco fattori biologici, psicologici, ambientali e generazionali.
In ogni caso, l’approccio sistemico-relazionale che adotto mi permette di guardare a questi diversi livelli e di intervenire su più piani, promuovendo strategie di coping e di gestione dell’ansia su basi concrete.
La dipendenza digitale tra social media e videogiochi
Nell’ultima generazione di adolescenti vedo emergere un bisogno di connessione costante che, se da un lato offre molte possibilità di scambio e informazione, dall’altro rischia di sfociare nella dipendenza digitale.
Ricevo giovani che trascorrono gran parte del loro tempo libero sui social media o immersi nei videogiochi online, trascurando lo studio, le relazioni reali e, talvolta, il proprio benessere fisico. Mi raccontano di come una sessione di gioco possa prolungarsi fino a notte fonda, oppure di come non riescano a staccarsi dal telefono per paura di perdere messaggi, like o opportunità di interazione virtuale.
In alcuni casi, raccolgo storie di vera e propria dipendenza, caratterizzata da ansia di astinenza quando si è lontani dal dispositivo e da un pensiero costante rivolto alla possibilità di connettersi.
Comprendo quanto sia difficile, per un genitore, affrontare il rifiuto dei propri figli di staccarsi da questa dimensione e di quanto ciò generi conflitti.
Il mio lavoro, in questi casi, si focalizza sia sul giovane, invitandolo a esplorare i motivi di questo bisogno così intenso di evasione o di stabilire connessioni virtuali, sia sulla famiglia, per individuare risorse e limiti che possano favorire un uso più equilibrato della tecnologia.
I genitori, talvolta, appaiono spaventati dalle reazioni dei loro figli, ma è necessario sviluppare un maggiore senso di autoefficacia e di responsabilità in adulti che sentono una sfiducia generale in se stessi e di conseguenza nei loro figli.
Propongo un percorso di psicoterapia individuale, unito a incontri in cui siano presenti genitori e figli, o percorsi di consulenza genitoriale, proprio per affrontare la situazione in modo coordinato e sistemico.
I segnali d’allarme da non sottovalutare
Capita che i genitori mi contattino solamente in fasi molto avanzate del disagio, magari dopo aver notato comportamenti di autolesionismo, un crollo del rendimento scolastico o un cambio drastico del comportamento alimentare.
Eppure ci sono vari segnali che, col senno di poi, spesso si rendono evidenti in precedenza. L’isolamento progressivo, l’irritabilità continua, il rifiuto di comunicare e la tendenza a passare la maggior parte del tempo in rete possono indicare un malessere crescente.
Il cyberbullismo, così come forme più subdole di esclusione digitale, rappresentano un pericolo concreto che può condurre il giovane a sentirsi vittima di violenza psicologica. Non di rado emergono tristezza o apatia costanti, pensieri negativi ricorrenti e un senso di vuoto interiore che porta a comportamenti rischiosi.
In questi casi, credo sia fondamentale non minimizzare, per quanto possa essere difficile distinguere una crisi transitoria da un problema più serio. Il mio consiglio è quello di proporre un dialogo, di chiedere un confronto con una figura esperta se si intravedono delle criticità che persistono o peggiorano con il passare delle settimane.
Comprendere i segnali di un potenziale disagio è un atto di cura verso i propri figli, e non significa sminuire la loro libertà bensì fornire un contesto sicuro di sostegno.
Perché gli adolescenti si allontanano dai genitori?
Ho sentito tanti genitori esprimere frustrazione e tristezza per l’allontanamento emotivo dei figli durante la fase adolescenziale. Mi viene spesso chiesto perché un ragazzo, magari fino a pochi anni prima molto affettuoso, si chiuda in se stesso o adotti un atteggiamento ostile.
L’adolescenza è il periodo delle sfide identitarie, in cui si cerca di costruire la propria indipendenza anche attraverso la messa in discussione dei modelli genitoriali. Allontanarsi può rappresentare un tentativo di proteggere una sfera personale, di esplorare il mondo senza il costante giudizio familiare.
Tuttavia, quando l’allontanamento diventa radicale e privo di comunicazione, o quando l’adolescente sembra rifiutare ogni dialogo, possiamo trovarci di fronte a una richiesta di aiuto mascherata. Spesso i giovani non conoscono altri mezzi per comunicare la loro sofferenza se non chiudersi in un silenzio ostinato.
È compito di noi adulti cogliere la “traduzione” di questo mutismo, cercando di proporgli un confronto aperto, o ricorrendo a un aiuto esterno qualora la situazione sia particolarmente tesa. Per comprendere meglio l’approccio con cui lavoro e come coinvolgo le famiglie nel percorso, può essere utile consultare la pagina Psicoterapia familiare del mio sito, dove spiego come le dinamiche interne al nucleo possano influenzare in modo incisivo il comportamento del ragazzo.
Il ruolo dei genitori per sostenere i figli in un periodo critico
Nella mia pratica clinica, ho constatato che i genitori possono avere un ruolo centrale se riescono a rimanere emotivamente disponibili, ma non invadenti e controllanti.
Con questo intendo l’importanza di comprendere il confine tra rispetto della privacy del figlio e una presenza costante e non giudicante. Essere presenti non significa controllare in modo ossessivo i movimenti o i messaggi, bensì coltivare un clima di fiducia in cui i figli si sentano liberi di parlare dei propri timori.
Può risultare molto utile anche mostrare autentica curiosità verso il mondo digitale, i gusti musicali, i programmi televisivi e la vita di relazione dei giovani, con uno sguardo aperto e senza critiche preconcette.
Ritengo che un sostegno concreto avvenga anche offrendo loro l’opportunità di parlare con uno specialista, soprattutto quando queste problematiche sembrano superare la soglia di un semplice disagio passeggero.
Proporre la possibilità di un colloquio psicologico, senza imporlo, è già un passo importante verso il riconoscimento di un bisogno.
Talvolta consiglio di prendere un primo contatto esplorativo, come descritto nella pagina La prima visita psicologica, per valutare il tipo di approccio più adatto e iniziare un percorso mirato con l’adolescente.