Aiuto psicologico nel trattamento dei Disturbi Alimentari

Aiuto psicologico nel trattamento dei Disturbi Alimentari

Negli ultimi decenni, il rapporto dell’essere umano con il cibo è divenuto sempre più complesso, e l’atto di mangiare è stato rivestito di significati simbolici, frutto di quei cambiamenti socio-culturali che vedono soprattutto la donna come protagonista. Le radici culturali e fisiologiche, i valori e i modelli familiari devono confrontarsi con nuovi modelli di riferimento che influenzano la formazione e lo sviluppo della sua identità personale.

La donna è, infatti, sottoposta a modelli estetici che la incoraggiano nel controllo del cibo e del peso corporeo per raggiungere ideali di bellezza e magrezza, sempre più decantati dalla moda e dai mezzi visivi. Di contro, nei paesi occidentali, si assiste ormai da anni ad un incremento della disponibilità alimentare, che facilita la possibilità che il cibo possa essere oggetto di uso perverso, abuso e dipendenza.

A noi tutti sarà capitato di fare una dieta o di intraprendere un’attività sportiva per raggiungere il peso “ideale”, ma quando questo diventa il fulcro dei propri pensieri, ed il controllo del peso una vera e propria ossessione, siamo di fronte ad un problema più serio che merita un approfondimento.

Come si classificano i disturbi del comportamento alimentare (DCA)

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) vengono distinti principalmente in:

  • Anoressia: con questo termine s’intende il rifiuto di mantenere il peso corporeo entro i limiti normali per l’età e la statura, la paura di aumentare di peso anche se si è sottopeso, le alterazioni nel percepire la forma del proprio corpo, e per le donne, l’ amenorra, cioè interruzione del ciclo mestruale per almeno tre mesi.
  • Bulimia: per Bulimia s’intende la presenza di episodi ricorrenti di abbuffate di cibo e condotte compensatorie per evitare l’aumento di peso. L’abbuffata è caratterizzata dal mangiare per un lungo periodo di tempo, ad es. due ore, una quantità di cibo eccessiva, e dalla sensazione di non poter controllarsi, mettendo fine all’abbuffata. Le condotte compensatorie possono essere di due tipi: con condotte di eliminazione, se si ricorre al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi e enteroclismi; senza condotte di eliminazione, se si ricorre a forme di compensazione, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo.
  • Binge Eating Disorder (BED): con questo termine s’intende un disturbo da alimentazione incontrollata, caratterizzato da assunzioni ricorrenti e protratte di cibo, associate ad una perdita di controllo. A differenza della bulimia nervosa, non sono presenti condotte di eliminazione e di compensazione. Secondo il DSM, il BED è associato anche ad altri comportamenti, quali, ad esempio, mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare soli perché si prova imbarazzo, sentirsi disgustati di se stessi, depressi e in colpa.
  • Obesità: si tratta di una patologia caratterizzata dall’aumento della massa grassa, che si sviluppa per l’influenza di fattori fisiologici, metabolici e genetici, stili di vita (sedentarietà e alimentazione ricca di grassi) e fattori comportamentali. Per fattori fisiologici, s’intende l’alterazione del senso di fame-sazietà; per fattori metabolici e genetici, intendiamo rispettivamente l’insieme di processi attraverso i quali il corpo consuma energia per mantenersi in vita, e l’influenza della famiglia nella genesi del disturbo.
  • NAS: si tratta di quei disturbi che non soddisfano i criteri specifici di nessun Disturbo dell’alimentazione. Ad es. sono presenti, per le donne, tutti i criteri dell’anoressia, ma il ciclo mestruale è regolare; oppure, sono soddisfatti tutti i criteri della bulimia, le abbuffate e le condotte compensatorie, ma non è soddisfatta la frequenza, inferiore a quella inserita nel DSM (due volte a settimana per tre mesi).

Psicologo per disturbi alimentari a Roma

Nel mio Studio di Psicoterapia a Roma propongo un percorso di conoscenza e cura dei disturbi alimentari, fornendo le informazioni adeguate e le soluzioni possibili per trattare questo problema.

In una prima fase, è necessario analizzare attentamente il problema, prendendo in considerazione elementi della storia personale e familiare, i bisogni emotivi e la fase evolutiva in cui si trova la persona che sta chiedendo aiuto; questo servirà a capire qual è il percorso più adatto a lei.

Dopo questa fase preliminare, è possibile per il paziente intraprendere due tipi di percorsi terapeutici:

  • Un percorso di psicoterapia individuale, indicato soprattutto quando la persona si è resa autonoma dal proprio nucleo familiare originario, oppure quando non vuole coinvolgere i familiari nella risoluzione dei suoi nodi personali. In un contesto di accettazione, la persona potrà affrontare, insieme al terapeuta, le possibili cause del disagio, ricostruire la sua storia co-costruendo un nuovo modo di vivere.
  • Un percorso di psicoterapia familiare, particolarmente indicato quando il problema riguarda adolescenti o giovani adulti che non si sono ancora separati dal nucleo familiare o che, pur essendosi allontanati, sono ancora molto coinvolti nella vita familiare. In questi casi, è necessario rivolgersi ad uno specialista per capire qual è la funzione del sintomo nel contesto familiare, e portare ad una riorganizzazione delle relazioni familiari che hanno contribuito all’insorgere del problema.