Spesso genitori e insegnanti si pongono disperati questa domanda. Non è facile capire qual è la strategia più efficace per i bambini iperattivi, oppositivi e provocatori, quei bambini, per intenderci, che sono sempre in movimento e che dicono sempre “no”! Dalla mia esperienza, è fondamentale osservare il bambino in tutti i suoi contesti di vita, prendere qualche appunto e annotare quali sono i comportamenti problematici, cosa succede prima e dopo, cioè qual è la conseguenza. E’ importante che l’adulto si metta in discussione ponendosi delle semplici domande: la conseguenza, ad es. mettere il bambino in punizione, rimproverarlo, dargli uno schiaffo, funziona? Se la risposta è negativa, sicuramente è necessario cambiare strategia e trovare quella più giusta per il bambino.

Come psicoterapeuta familiare, chiedo sempre ai genitori di venire da soli al primo incontro di consulenza per valutare il problema e capire se è necessario o meno convocare il bambino per gli incontri successivi. La psicoterapia potrebbe infatti aggiungere un carico eccessivo per il bambino, in una situazione già stressante per lui e per tutte le figure coinvolte nel problema. Quando è possibile, preferisco quindi lavorare soltanto con i genitori in stanza di terapia e indirettamente con il bambino, attraverso prescrizioni e indicazioni che puntualmente fornirò ai genitori. Il lavoro terapeutico viene portato avanti da tutti e l’obiettivo è che si raggiunga una situazione di benessere per tutti. Non convoco il bambino anche per evitare che ci sia una designazione e che lui si senta maggiormente etichettato, sentendosi come colui che sbaglia, che è manchevole in qualche modo.

Durante le prime sedute, è innanzitutto importante individuare quali sono le regole del sistema (familiare o scolastico) e capire come mai non funzionano. Spesso i genitori sono in disaccordo sulle regole, non rappresentano una squadra genitoriale unita e una “base sicura” per il bambino, per cui lui si ribellerà e si opporrà con tutta la forza di cui è capace. Può accadere che il bambino avverta questo disaccordo o può percepirsi posizionato in mezzo al conflitto, soprattutto quando i genitori stanno attraversando una fase di crisi e/o di separazione. Il sintomo del bambino diventa allora un modo per richiamare l’attenzione dell’adulto di riferimento, per distogliere i suoi genitori dai temi caldi dei loro litigi e per tentare di vederli uniti attraverso emozioni di preoccupazione e ansia. Ovviamente il bambino agisce in maniera del tutto inconsapevole, trae dei benefici da ciò che avviene attorno a lui, dall’organizzazione del sistema attorno al sintomo.

Lavorando con i genitori è possibile ottenere un netto miglioramento della situazione, non solo a casa ma anche a scuola. Parliamo ovviamente di genitori motivati e che hanno voglia di mettersi in discussione e di “rimboccarsi le maniche” affinché lo stress e la sofferenza che provano tutti si riducano. Spesso è necessario che si affrontino con i genitori le cause del malessere familiare  e della coppia, un malessere di cui il bambino si fa inconsapevolmente portavoce in uno specifico momento della sua vita.